Quello in copertina che sembra un elettricista nell'incipit di un film porno sono io. Però non faccio il porno eh, sono casto e timido come una suorina. Io mi occupo di carretti siciliani: li decoro, li dipingo, li restauro, gli canto la ninna nanna prima di andare a dormire. il mio mondo sono i colori.
"E grazie al cazzo, come dovevamo intuirlo?" direte voi, irritati da tutto questo nero fuorviante. Il fatto è che oltre alla pittura amo scrivere; quando non impugno un pennello è probabile che stia impugnando penna e calamaio. Calamaio, inchiostro, nero, capite? Il cerchio si chiude e probabilmente voi avete già una impellente voglia di mandarmi al diavolo. Vi capisco, potete farlo inviandomi una comoda mail.
"E grazie al cazzo, come dovevamo intuirlo?" direte voi, irritati da tutto questo nero fuorviante. Il fatto è che oltre alla pittura amo scrivere; quando non impugno un pennello è probabile che stia impugnando penna e calamaio. Calamaio, inchiostro, nero, capite? Il cerchio si chiude e probabilmente voi avete già una impellente voglia di mandarmi al diavolo. Vi capisco, potete farlo inviandomi una comoda mail.
Se lo sfogo è stato sufficiente per tranquillizzarvi, potete proseguire la lettura: tenete sott'occhio quel bottone, potrebbe servirvi ancora. Vi racconto la mia storia.
Ma peddavero fai i carretti?
Quando faccio le visite guidate nella mia bottega a volte interrompono il mio racconto ispirato per chiedermi se faccio davvero questo mestiere. "Non è che sei un attore che fa finta solo per fregarci i verdoni?". Comprendo il vostro dubbio amletico, Il fatto è che il mio mestiere è raro - quasi in estinzione - e noi artigiani siamo come i panda bisognosi di una canna di bambù da sgranocchiare. Un tempo il pittore di carretti era come il carrozziere, ce n'era uno in ogni stradina.
Eppure non era mica facile diventare pittore di carretti. Nell’ottocento in Sicilia c’erano poche possibilità per un figlio del popolo, e i genitori mandavano i figli giovanissimi dai vecchi mastri a fare apprendistato, con una mela in mano e un calcio nel sedere. Le botteghe artigianali brulicavano di apprendisti che sgomitavano per emergere, solo pochi di loro sarebbero diventati mastri a loro volta; se avessero appreso tutte le competenze del mestiere e dimostrato talento allora un giorno avrebbero potuto aprire la propria bottega. E io ho fatto così, all’antica, sono stato garzone di bottega da Domenico Di Mauro, uno degli ultimi artigiani della vecchia guardia: orgoglioso, severo e di poche parole, specialmente quando c’era da elargire qualche segreto del mestiere. Guardavo i paladini che dipingeva e mi dicevo: “Uau, che sguardo fiero, che armatura fiammeggiante. Sicuramente ora il maestro mi spiegherà benevolmente come ottenere lo stesso risultato”. Come no, in LIS me l’ha spiegato, il linguaggio dei segni: con la mano ha fatto un movimento circolare intorno all’elmo del paladino, poi un cenno svolazzante col dito a seguire la forma del baffo arricciato e la spiegazione era finita. Ma egli era figlio di un’epoca in cui i mastri custodivano gelosamente i propri segreti e col cavolo che ti spiegavano nulla, dovevi esser bravo a rubarlo con gli occhi, il mestiere. Da quel momento tenni gli occhietti sgranati come un Loris Tardigradus per non perdermi più nulla.
Ho fatto il garzone per alcuni anni finché non ho aperto la mia prima bottega all’età di 21 anni: un piccolo antro in un paese in provincia di Catania, tanto piccolo che per entrare un carretto dovevo smontargli le ruote. Oggi lavoro a Ragusa Ibla, in una bottega storica impregnata ancora dell’aurea di tutti i mastri che vi hanno lavorato prima di me. Ma come vi sono arrivato è un’altra storia. È la storia di Cinabro Carrettieri.